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Am J Surg. 2016 Jun;211(6):1005-13.
Contemporary management of anastomotic leak after colon surgery: assessing the need for reoperation.
INTRODUZIONE:
l’obiettivo dello studio è stato valutare il management delle deiscenze
anastomotiche coliche in un periodo compreso fra il 2012 e il 2013
METODI: sono
stati arruolati mediante analisi del database ACS NSQIP (American College of Surgeons National
Surgical Quality Improvement Program) 32280 pazienti sottoposti ad interventi
di chirurgia colica negli USA nel periodo 2012-2013
RISULTATI:
lo studio ha dimostrato come ben il 43,9% dei pazienti con deiscenza
anastomotica (1240 pazienti, 3,8% del totale) siano stati trattati in maniera
conservativa (non chirurgica) indipendentemente dal tipo di anastomosi
(ileocolica, colo-colica, colo-rettale “alta”). Lo studio ha anche confermato
come il rischio di deiscenza delle anastomosi colo-rettali sia
significativamente più elevato rispetto a quelle colo-coliche ed ileo-coliche.
È stato inoltre dimostrato, in accordo con la letteratura, che i pazienti
portatori di una stomia derivativa avevano, in caso di deiscenza anastomotica,
una minore necessità di re-intervento chirurgico in quanto paucisintomatici o
con minore possibilità di peritonite diffusa.
CONCLUSIONI:
Le deiscenze anastomotiche sono associate ad un aumento della mortalità
post-operatoria e ad allungamento dei tempi medi di degenza dei pazienti. La tipologia di
anastomosi eseguita, peraltro obbligata e quindi dato non modificabile,
influenza il rischio di deiscenza. I dati raccolti mostrano come il grado di deiscenza,
la presenza di una stomia derivativa che la renda gestibile con trattamento
conservativo e le condizioni cliniche generali dei pazienti (dato
fondamentale!) influenzino la decisone di re-intervento. I pazienti con BMI
elevato, in terapia cronica con steroidi, ASA score >2 ed anziani presentano
un rischio aumentato di re-intervento post “leak” anastomotico.
LIMITI: Lo
studio eseguito è di natura retrospettiva e come tale, la sua capacità di
estrapolare una relazione causa-effetto dai dati analizzati è limitata.
VALUTAZIONE PERSONALE:
Nonostante il campione preso in considerazione sia estremamente numeroso, le
patologie di base che hanno portato all’intervento chirurgico sono eterogenee e
questo potrebbe influenzare i risultati sulla reale percentuale di deiscenza
anastomotica. Per tale motivo sarebbe più indicato, al fine di limitare
eventuale bias di selezione, suddividere il campione oltre che per tipologia di
anastomosi anche per differente patologia di base (tumore, IBD, diverticolite).
Gianmaria
Casoni Pattacini
gianmaria.casonipattacini@gmail.com
U.O
Chirurgia Generale ad Indirizzo Oncologico IRCCS
SAN MARTINO Genova
Inserita il 14/6/2016 (scarica il documento)
To drain or not to drain in colorectal anastomosis: a meta-analysis.
INTRODUZIONE: obiettivo
dello studio è quello di determinare se il posizionamento profilattico di un
drenaggio, in un’anastomosi colo-rettale, possa ridurre le complicanze
post-operatorie.
METODI: e’
stata effettuata una “sistematic review” identificando sull’argomento 814
potenziali pubblicazioni. I criteri d’inclusione sono stati i seguenti: a)
trials controllati randomizzati (RCTs) che confrontavano l’uso routinario del drenaggio
in anastomosi colo-coliche e colo-rettali rispetto al suo non utilizzo; b)
pazienti con tumori colo-rettali, diverticolosi, volvolo, MICI; c) outcomes quali
deiscenza anastomotica clinica, radiologica o entrambe.
RISULTATI: su
814 pubblicazioni, sono stati ritenuti validi 11 “papers” per un totale di 1803
pazienti. In 3 trials sono stati arruolati pazienti con diagnosi di tumore
colo-rettale, negli altri 8, pazienti con diagnosi di tumore colo-rettale,
diverticolosi, MICI. In tutti i pazienti il drenaggio e’ stato rimosso non dopo
l’ottava giornata. In quattro trials e’ stata descritta un’anastomosi
intraperitoneale, in 2 un’anastomosi extraperitoneale e solo in uno entrambe. I
risultati hanno dimostrato che l’uso del drenaggio:
- non riduce il rischio di deiscenza
anastomotica
- non è associato alla riduzione del rischio
di deiscenza anastomotica clinica o radiologica
- non vi sono differenze significative in
termini di mortalità, infezioni della ferita, reintervento e complicanze
respiratorie
CONCLUSIONI: per
la quasi totalità dei Chirurghi l’utilizzo di tale presidio dopo “colorectal
anastomosis” è ancora mandatorio e rappresenta il possibile ed utile drenaggio
di eventuali raccolte settiche in caso di deiscenza anastomotica ed infezione
pelvica. Altri ritengono che il drenaggio possa essere causa d’infezioni o
stimolare esso stesso la formazione di siero. Questa metanalisi evidenzia come non vi sia alcuna differenza
significativa tra l’utilizzo o meno di drenaggio. Quindi l’utilizzo routinario
del drenaggio nelle anastomosi colo-rettali non comporta alcun beneficio in termini
di riduzione delle complicanze post-operatorie.
LIMITI: la
eterogeneicità di patologia e la differente esperienza tra i chirurghi
arruolati rappresenta
sicuramente
un possibile “bias” di conduzione dello studio.
VALUTAZIONI PERSONALI:
· Sarebbe
necessario uno studio randomizzato controllato che mettesse a confronto
l’utilizzo del drenaggio nelle anastomosi colo-rettali (conclusione
“lapalissiana”….tanto vera quanto di difficile realizzazione)
·
Non
è chiaro in questo lavoro la percentuale di paziente con stomia di protezione,
la quale non riduce ma sicuramente rende inferiore la morbidità dell’eventuale
“leak anastomotico”
·
Non
raramente il drenaggio del cavo del Douglas ci permette un atteggiamento
conservativo in caso di “leak”; il drenaggio non diminuirà le deiscenze ma
forse, riflessione da condividere con tutti voi, non è del tutto deleterio Antonio Martino
antonio.martino1989@gmail.com
U.O. Chirurgia Generale ad Indirizzo Oncologico
IRCCS San Martino Genova
Inserita il 14/6/2016 (scarica il documento)
Int J Surg. 2016 Apr 22;30:68-73. Assessing the risk for development of Venous Thromboembolism (VTE) in surgical patients using Adapted Caprini scoring system.
Bilgi K1,
Muthusamy A2,
Subair M2,
Srinivasan S2,
Kumar A2,
Ravi R1,
Kumar R1,
Sureshkumar S2,
Mahalakshmy T3,
Kundra P1,
Kate V4.
INTRODUZIONE: si tratta di un articolo pubblicato ad
aprile 2016 sull International Journal of Surgery. Lobiettivo è determinare
lincidenza e la mortalità per tromboembolismo venoso (TEV) nei pazienti chirurgici
e valutare lapplicabilità dello score di Caprini modificato (Adapted Caprini
Score) nella stratificazione del rischio tromboembolico. La novità rispetto
allo score tradizionale consiste nellinclusione dei soli criteri clinici e
nellesclusione di quelli di laboratorio.
METODI: lo studio è stato condotto su 301 pazienti sottoposti ad interventi
chirurgici di elezione o di urgenza in un arco temporale di 9 mesi. I pazienti
arruolati venivano valutati per rischio tromboembolico con lAdapted Caprini
Score al momento del ricovero. Venivano individuati i seguenti livelli di
richio: basso (0-1 punti), moderato (2 punti), alto (3-4 punti), molto alto
(5 o più punti). I segni e i sintomi di malattia tromboembolica venivano
ricercati fino alla trentesima giornata post-operatoria in tutti i pazienti
ricoverati. I dimessi prima della trentesima giornata venivano invece
sottoposti ad intervista telefonica da parte di personale dedicato. Nel
sospetto di trombosi venosa profonda (TVP) veniva effettuato un ecocolor
Doppler, mentre in quello di embolia polmonare (EP) si eseguiva una spiral TC.
RISULTATI: calcolando lo score al momento del ricovero, la maggior parte dei pazienti
(42,2%) aveva un rischio molto alto;
il 29,5% un rischio alto e il
restante 28,2% un rischio basso o moderato. Nei tre gruppi a minor
rischio non si sono registrati eventi tromboembolici. I 22 casi di TVP si sono verificati
nel gruppo a rischio molto alto. Non
ci sono stati casi di EP. Nellambito
dei pazienti classificati come a rischio molto
alto, lincidenza di TEV era significativamente maggiore in quelli con
score >8.
CONCLUSIONI: data lassenza di eventi tromboembolici nei pazienti con score minore di 5
e lelevata incidenza in quelli con score maggiore di 8, sarebbe utile
suddividere la categoria dei pazienti a rischio molto alto in ulteriori sottoclassi di rischio e raccomandare nei
soli pazienti con score maggiore di 8 una profilassi di durata estesa.
LIMITI: è possibile che lincidenza di TEV sia stata sottostimata dal momento che
sono stati considerati solo pazienti con segni o sintomi di TEV e non si è
fatto uno screening su tutta la popolazione asintomatica; è possibile che anche
il rischio individuale sia stato sottostimato dal momento che non tutti i
fattori di rischio vengono costantemente esaminati.
VALUTAZIONI PERSONALI:
1.
Lo studio mostra come il rischio di sviluppare eventi tromboembolici non
sia significativo nei gruppi con score inferiore a 5. Questa considerazione
dovrebbe portarci a rivedere le nostre attuali linee guida che suggeriscono
comunque una profilassi di tipo farmacologico già per score di 3-4. Tuttavia,
la possibilità di sottostimare il rischio individuale è reale: il paziente
durante la raccolta dei dati anamnestici può non riferire determinati fattori
di rischio che porterebbero ad attribuirgli un rischio superiore. Questo
discorso è ancor più valido considerando che buona parte della popolazione
ricoverata è costituita da soggetti anziani che spesso demandano a parenti poco
informati notizie relative alle loro condizioni cliniche. Il rischio che si
corre nellalzare la soglia di trattamento è quindi quello di non trattare
adeguatamente soggetti che avrebbero motivo di ricevere una profilassi più
attenta.
2.
La questione della profilassi tromboembolica potrebbe rientrare a pieno
titolo nel filone della medicina difensiva che a volte si manifesta con
overtreatment non totalmente giustificati e le cui conseguenze possono essere
anche clinicamente, nonché economicamente, importanti. Risulta tuttavia ad oggi
assai difficile, anche con interessanti dati alla mano come in questo caso,
modificare una pratica clinica che, tuttavia, dobbiamo ritenere in evoluzione
continua.
Emanuela
Stratta
(Medico Chirurgo in formazione specialistica, Chirurgia Generale ad Indirizzo Oncologico
IRCCS San Martino IST Genova emanuela.stratta@gmail.com)
Br J Surg. 2015 Oct;102(11):1388-93.
Quality control of lymph node dissection in the Dutch Gastric Cancer Trial.
Steur e colleghi a fine 2015
pubblicano sul British Journal Of Surgery questo articolo estremamente
interessante.
Gli autori si ergono a
controllori di garanzia sulla qualità dell'asportazione linfonodale nei bracci
D1- D2 Del Dutch Trial (DGCT), i cui risultati a quindici anni sono stati pubblicati nel 2010 Da Songun I. e
colleghi su Lancet.
Lo scopo dello studio è
investigare gli effetti della non
compliance e della contamination sulla sopravvivenza a lungo terminale nel
DGCT.
Viene definita come Non compliance
la mancata rimozione di stazioni
linfonodali, suddivisa in minor o maior a secondo del numero di stazioni
non rimosse, e come contamination unexeresi linfonodale di stazioni non
previste dalla Japanese Reserch Society nella D1 e D2.
I primary endpoint dello studio
sono recurrence e overall survival complessiva e differenziata per le due
tecniche di linfadenectomia.
In poche parole tutto ciò che
fino oggi abbiamo letto su vantaggi o svantaggi di una linfadenectomia
piuttosto che unaltra avevano un grosso bias: i chirurghi nel 25.8% delle D1
asportavano più stazioni linfonodali del dovuto (eseguendo così una D1+) e nel 55.6% delle D2 la
linfadenectomia era carente di almeno una o due stazioni linfonodali.
I risultati dello studio mostrano
come lelevato numero di non compliance nelle D2, 81.6%, potrebbe avere
oscurato il significativo vantaggio in termini di sopravvivenza, infatti i dati analizzati per
pazienti con contaminazioni, ovvero con un numero maggiore di linfonodi
asportati, mostrano la miglior sopravvivenza in assoluto(35.7% vs 19.9 della D1).
Concludendo, la linfadenectomia
D2 deve essere considerata il gold
standard anche nel mondo occidentale, rimangono da evitare resezioni
splenopancreatiche che potrebbero aumentare la mortalità e la morbidità
postoperatoria.
Denise Palombo
Local excision of low rectal cancer treated by chemoradiotherapy: is it safe for all patients with suspicion of complete tumor response?
INTRODUZIONE:
si tratta di un lavoro pubblicato il 7 marzo 2016
su Int J Colorectal Dis. Obiettivo dello studio è valutare se nei
pazienti con low rectal cancer (LRC) sottoposti a trattamento NCRT e risposta
clinica completa (cCR) l’escissione locale della lesione (LE) possa essere
proposta come alternativa alla total mesorectal excision (TME).
METODI:
Da gennaio 2005 a maggio 2015 sono stati arruolati
202 pazienti con LRC sottoposti a NCRT neoadiuvante. Tutti i pazienti
hanno avuto un “re-staging” a 6 settimane dal termine della terapia con TC e RM
(o ecoendoscopia). I pazienti con cCR sono stati sottoposti a TME. La local
excision è stata proposta solo a pazienti di età superiore ai 75 anni con
severe comorbidità. La LE si è considerata adeguata se all’analisi
anatomopatologica sul pezzo operatorio si trattava di tumori pT0/Tis/T1. In
caso di tumori pT2 o superiori, il trattamento si considerava inadeguato e
veniva immediatamente proposta la TME.
RISULTATI:
lo studio ha dimostrato che il cCR non è
confermato dall’esame istologico sul pezzo operatorio in oltre il 25%
dei casi per il parametro T (tumore ≥
pT2 nel 25% delle LE) e nel 10% per il parametro N (il 10% delle TME su lesioni
pT0/Tis/T1 post NCRT avevano linfonodi patologici, a dimostrazione che, qualora
fossero stati selezionati per una LE, saremmo incorsi in un un trattamento
oncologicamente non corretto).
CONCLUSIONI:
ad oggi, non abbiamo elementi che ci permettano di
proporre una LE post NCRT anche in caso di cCR; questo avviene
principalmente per due ragioni: a) i pazienti trattati con LE sono esposti ad
un potenziale rischio di localizzazione di malattia nei linfonodi contenuti nel
mesoretto; b) spesso la valutazione clinico-radiologica di CR non viene poi
confermata dall’analisi istologica.
LIMITI: lo
studio, che arruola complessivamente 202 pazienti con low rectal cancer, ha
avviato solo 20 soggetti a LE, con una bias di fondo di selezione
“obbligato”.
VALUTAZIONI
PERSONALI:
1.
E’ indubbio che l’evoluzione
della chirurgia del retto vada verso la “organo-preservazione”; rimane
tuttavia al momento poco “prevedibile” chi s ottoporre a trattamento
conservativo dopo NCRT e cCR. Sono convinto che lo studio biomolecolare e
preteomico del comportamento biologico del cancro (o meglio “dei c ancri”) del
retto sia mandatorio.
2.
Ad oggi il tasso di morbidità per TME dopo NCRT è
5 volte maggiore di quello della TME senza NCRT (ed il 15% dei
pazienti non ha beneficio alcuno dalla NCRT); una selezione dei pazienti cui
proporre la NCRT (la “crusade” isp irata da Heald da tempo contro la NCRT
“indiscriminata”) o la “organo-preservazione” post NCRT sono a mio avviso le 2
strade possibili per noi chirurghi, che, ricordiamoci, siamo i protagonisti,
nel bene e nel male, del destino di questi pazienti. Che devono beneficiare di
un approccio multidisciplinare ma devono essere gestiti clinicamente da noi
chirurghi.
Stefano Scabini
Emanuela Stratta
Comparative Short-term Benefits of Laparoscopic Liver Resection: 9000 Cases and Climbing.
Quanti ancora i chirurghi scettici sulla chirurgia
epatica laparoscopica?
Come rispondere allesigenza di un chirurgia sicura,
oncologicamente adeguata e standardizzabile?
A queste domande inizia a dare risposta linteressante
review con meta analisi che vi propongo, pubblicata da Daniel Cherqui e colleghi su Annal of
Surgery.
Tra gli Aims dello studio sono incluse sia una
revisione dello stato dellarte dopo la Consensus di Morioka, sia una meta
analisi LLR vs OLR.
Gli endpoints prevedono sia parametri intraoperatori
(tempo operatorio, perdita di sangue, trasfusioni eseguite) che postoperatori
(mortalità,complicanze entro 30 gg, tempo di degenza).
Il gruppo del Paul Brousse Hospital analizza 9527
resezioni laparoscopiche tra le quali 2900 allinterno di studi comparativi e
6627 allinterno di case series, praticando una divisione tra Minor-only
resection(resezioni che includono 2
segmenti o meno),major only resection (resezioni di tre o più segmenti
contigui) e combined minor-major resection. Tra le 9527 resezione VLS il 65%
sono state eseguite per patologia maligna(50% HCC, 25% mts da colon retto) e il
35% con indicazioni per patologia benigna ( litiasi intraepatica, cisti,
FNH,adenomi etc).
Risultati: per ciò che riguarda le minor only resection
lapproccio laparoscopico mostra un vantaggio, statisticamente significativo,
in termini di: complicanze postoperatorie, perdite ematiche intraoperatorie,
tempo di degenza e in termini di operative times.
Quando si parla di major only resection i risultati non
mostrano differenze in termini di trasfusioni intraoperatorie e tempo
operatorio, mostrando invece un vantaggio nel tempo di degenza e tasso di
complicanze.
Tuttavia non è stato possibile, a causa dellesiguità degli
studio merito, eseguire unanalisi sul dato resection margin, che rappresenta
un tema ancora caldo.
Incoraggiante invece la mortalità postoperatoria dopo
resezione VLS(0,4%).
Allentusiasmo di questo articolo deve essere tuttavia
contrapposta unanalisi degli studi presi in analisi; sono tutte casistiche di
centri ad alto volume con pazienti selezionati, in mano a chirurghi
epatobiliari esperti con un training laparoscopico importante.
Limiti dello studio sono la classificazione delle
complicanze postoperatorie (non tutti gli studi usano la Clavin-Dindo),talvolta
la tecnica (alcune sono tecniche ibride/hand assisted) e lestrema variabilità della
patologia trattata(ben diverso eseguire resezioni maggiori per patologia
maligna vs benigna).
Tirando le somme possiamo dire che le resezione epatiche
minori vls rappresentano oramai un gold standard, sfatando anche oramai il mito
dei segmenti posteriori considerati non laparoscopici.
Le resezioni epatiche maggiori VLS tuttavia,richiedendo
unexpertise notevole anche in considerazioni delle possibile resezioni
vascolari associate, pertanto sono ancora terreno di dibattiti e di validazione
scientifica.
La
vera scoperta non consiste nel trovare territori nuovi, ma nel vederli con
nuovi occhi M.Proust
Denise Palombo
Inserita il 27/10/2016
Is it time to rethink the rule of total mesorectal excision? A prospective radiological and pathological study in 49 consecutive patients with mid-rectal cancer.
INTRODUZIONE: si tratta
di un articolo pubblicato recentemente su Colorectal Disease dal gruppo di
Panis, riconosciuto a livello internazionale per la chirurgia colorettale.
Obiettivo dello studio è valutare se una TME distale parziale in caso di
tumori del retto sottoposti a CRT + chirurgia possa unire identici risultati
oncologici a migliori risultati funzionali.
METODI: sono stati
esaminati 49 pazienti con tumore del retto sottoperitoneale localmente avanzato
sottoposti dal gennaio 2012 al luglio 2014 a chemio-radioterapia neoadiuvante +
chirurgia. I pazienti sono stati sottoposti a staging post CRT mediante RM
pelvica, al fine di individuare pazienti N+ o con depositi tumorali nel mesoretto
(OTD), distinguendo tra pazienti N+ o OTD a livello del tumore o prossimalmente
ad esso da quelli con sospetta malattia residua distalmente al tumore. I dati
sono stati poi confrontati con lanalisi istopatologica dei pezzi operatori.
RISULTATI: su 49 specimen
analizzati, solo il 55% dei pazienti risultavano N+ o OTD alla RM post CRT. E
solo il 18% risultava avere sospetto di malattia mesorettale al di sotto del
tumore primitivo. Allesame istologico definitivo, il 4,6%, il 9,6% e lo 0% dei
linfonodi rispettivamente sopra il tumore, a livello del tumore e sotto il
tumore risultarono positivi. Solo il 2% dei pazienti analizzati presentarono
OTD al di sotto del tumore. Gli Autori concludono che, essendo eccezionale la
persistenza di malattia al di sotto della neoplasia rettale dopo trattamento
CRT, una accurata valutazione RM post CRT potrebbe permettere di individuare i
pazienti potenzialmente passibili di una TME distale parziale.
CONCLUSIONI: la RM
pelvica post CRT neoadiuvante può aiutare a selezionare quei pazienti che,
seppur affetti da neoplasia localmente avanzata del retto sottoperitoneale,
potrebbero beneficiare di una resezione distale parziale di mesoretto in
quanto a bassissimo rischio di tumore mesorettale residuo. Potremmo in tal modo
limitare le sequele funzionali associate in maggior percentuale ad una
resezione mesorettale completa.

CONSIDERAZIONI
PERSONALI: la prima impressione avuta alla lettura del titolo è stata, lo
confesso, quella di pensare ad uno scherzo! Ma come, abbiamo dopo anni
finalmente standardizzato un approccio, lo abbiamo accettato anche noi
Chirurghi animali fantasiosi, ne abbiamo fatto in alcuni casi ragione di vita
..e ora ci dicono che è tutto da ripensare!!?? Poi, in considerazione degli
Autori di altissimo livello in materia ed attingendo ai dati di letteratura e
allesperienza personale riguardo alla morbidità funzionale post TME, ho
stampato il paper. E lho lasciato sedimentare. E poi lho letto. 5 volte. E
ci ho ripensato. 100 volte. Mi rimangono tanti dubbi, alcuni dei quali mi
piacerebbe condividere con voi anche via mail o alla prima occasione di comune
incontro scientifico: 1. Quanto la morbidità funzionale dipende solo da noi
Chirurghi e quanto dalla CRT neoadiuvante? (più del doppio nei pazienti sottoposti
a CRT+TME rispetto ai pazienti sottoposti a sola TME, in letteratura)
2. Quanto
il solo risparmio del mesoretto distale può aiutarci a prevenire insulti
neurogeni che possono in realtà avvenire anche ad altri livelli
3. Quanto
una RM post CRT, difficile ed ancora oggi soggettivamente interpretativa, può
lasciarci tranquilli di modificare un approccio chirurgico ad oggi ampiamente
standardizzato?
4. Allo
stesso tempo quanto la CRT neoadiuvante e la terapia adiuvante post TME ci
potranno permettere in futuro (ed anche al giorno doggi per alcuni di noi che
già arruolano le risposte complete in studi clinici ad hoc) una sempre
maggiore preservazione di organo a cui credo, lo confesso, fortemente? A mio
modo di vedere solo i piccoli passi ed un criticismo metodico possono salvarci
dalle facili illusioni.
Stefano Scabini
Chirurgia Generale ad Indirizzo Oncologico IRCCS San
Martino IST
Inserita il 27/10/2016 ( scarica il pdf )
Predictors for regional lymph node metastasis in T1 rectal cancer: a population-based SEER analysis.
INTRODUZIONE: si tratta di un
articolo pubblicato il 19 febbraio 2016 su Surgical Endoscopy. Obiettivo dello studio
è individuare i fattori predittivi di metastasi linfonodali (LNM) nei tumori
rettali T1.
METODI: sono stati
esaminati 1593 pazienti con tumore del retto in stadio T1 sottoposti a resezione tra il
2004 e il 2012, con asportazione di almeno 12 linfonodi locoregionali e non
preventivamente radiotrattati. Tutti i dati sono stati forniti dal National Cancer
Institute. Solo
260 dei 1593 pazienti presentavano metastasi linfonodali allesame istologico
(N+); i restanti 1333 pazienti non avevano linfonodi positivi allistologico (N0). Le
seguenti variabili sono state analizzate e messe a confronto nei due gruppi di
pazienti (N0 vs N+): dimensioni del tumore, istotipo tumorale (adenocarcinoma,
carcinoma mucinoso), grading, CEA, etnia, sesso, età.
RISULTATI: le dimensioni
del tumore, il grading e letà sono risultati fattori predittivi associati a metastasi
linfonodali: il rischio di LNM è significativamente maggiore nei tumori di dimensioni
> di 1 cm se confrontati con tumori < 1cm (p= 0,002); rispetto ai
carcinomi ben differenziati (G1), i tumori di grado più elevato (G2 e G3/G4) sono associati ad un
maggior rischio di LNM; per quanto riguarda letà, il rischio di LNM si riduce al
crescere delletà del paziente. La sopravvivenza a 5 anni era del 90% nei pazienti con LNM
e del 97% in quelli senza LNM (p<0,001).
DISCUSSIONE: la sopravvivenza
libera da malattia è fortemente condizionata dallassenza di LNM. Lindividuazione
di fattori predittivi per LNM è importante per selezionare i pazienti che
possono essere sottoposti ad unescissione locale di malattia che comporta una minor morbidità
postoperatoria rispetto ad una resezione radicale del retto, tenendo presente che,
nei pazienti non LNM, la sopravvivenza a distanza non varia in maniera
significativa con il trattamento radicale rispetto allescissione locale. Tuttavia, la sensibilità e la
specificità delle indagini preoperatorie nel definire lo stato dei linfonodi è del 74% per la
TC, del 78% per lEUS e del 76% per la MRI. Non è quindi ancora possibile,
nonostante i numerosi progressi tecnologici, stabilire con certezza lo stato linfonodale nei
tumori del retto T1 e la diagnosi istopatologica postoperatoria resta il gold
standard per lo staging linfonodale. Questa considerazione rende doveroso ricorrere alla
resezione locale in caso di ADK del retto T1 solo in casi selezionati.
CONSIDERAZIONI
PERSONALI: il
trattamento del cancro del retto T1, insieme alla gestione delle risposte
complete dopo CRT nel cancro del retto avanzato, rappresentano ad oggi i veri
campi di interesse su cui dobbiamo rivolgere i nostri sforzi clinici e di ricerca in
campo rettale oncologico. La corretta escissione e la grande collaborazione con gli endoscopisti, qualora siano loro per qualche motivo esecutori della manovra, sono
fondamentali affinchè la chirurgia del T1 non sia subottimale e non diventi la terra di tutti
e di nessuno. Personalmente crediamo che la gestione sia da riservare al
chirurgo. Limpiego di patologi dedicati, ai quali dobbiamo fornire specimen ben
orientati su supporto e non macrobiopsie disordinate, è mandatorio e
fattore prognostico per questa early neoplasia che tuttavia, se mal gestita, ci darà
sicuramente scarse soddisfazioni oncologiche. Il cancro del retto spesso ci concede
una sola possibilità per essere curato. Le recidive locali equivalgono spesso alla
sconfitta per il chirurgo e soprattutto alla condanna per il paziente
Emanuela
Stratta - Stefano
Scabini
Chirurgia
Generale ad Indirizzo Oncologico - IRCCS San Martino IST
Inserita il 27/10/2016 ( scarica il pdf )
Surgical timing after chemoradiotherapy for rectal cancer, analysis of technique (STARRCAT): results of a feasibility multi-centre randomized controlled trial.
Foster JD1,2,
Ewings P3,
Falk S4,
Cooper EJ5,
Roach H4,
West NP6,
Williams-Yesson BA7,
Hanna GB2,
Francis NK8,9;
STARRCAT Investigators.
INTRODUZIONE: si tratta di un articolo pubblicato nell’agosto 2016 su Techiques in Coloproctology. Obiettivo dello studio è quello di valutare l’impatto sulla performance chirurgica dell’intervallo di tempo intercorso tra il trattamento chemioradioterapico e la chirurgia resettiva. METODI: sono stati esaminati 60 pazienti con diagnosi pre-operatoria di adenocarcinoma del retto localmente avanzato, tra il giugno 2012 e il maggio 2014. Criteri di esclusione erano la presenza di malattia metastatica, controindicazioni all’esecuzione di risonanza magnetica e in anamnesi storia di malattia infiammatoria intestinale, ASA IV. 31 dei 60 pazienti osservati soddisfavano i criteri di inclusione; 15 pz hanno osservato un intervallo di 6 settimane (gruppo1), 16 un intervallo di 12 settimane (gruppo 2). Tutti i pazienti sono stati sottoposti pre e post trattamento a RM pelvica e TC total body. I pazienti del gruppo 2 hanno eseguito ulteriore TC total body e RM pelvi a 6 settimane dal trattamento. La performance chirurgica nei due gruppi è stata valutata utilizzando la tecnica OCHRA (Observational Clinical Human Reliability Assessment). Tutti i pazienti hanno eseguito follow-up specifico di 30 giorni dal trattamento chirurgico; la morbidità perioperatoria è stata valutata mediante la classificazione di Clavien Dindo. Sono stati analizzati i seguenti parametri: distanza del tumore dalla rima anale (valutata tramite risonanza magnetica pelvica), regressione del tumore, risposta patologica completa, margini di resezione, integrità degli anelli della parete intestinale, età, sesso, BMI, perfomance status. RISULTATI: 6 pazienti (40%) del primo gruppo e 7 pazienti (50%) nel secondo gruppo hanno presentato un “down-staging” del T; 10 pazienti del primo gruppo (67%) e 9 pazienti (64%) del secondo gruppo hanno presentato un “down-staging” linfonodale; 7 pazienti (70%) del primo gruppo e 8 pazienti (62%) del secondo gruppo presentavano mesoretto integro all’esame istologico. Non è stato osservato nessuna progressione strumentale di malattia tra le 6 e le 12 settimane. La mortalità peri-operatoria è stata dello 0% in entrambi i gruppi. L’errore chirurgico più comune osservato nello studio (valutato mediante tecnica OCHRA) è stato rappresentato dalla dissezione chirurgica su un piano anatomico errato. In media sono stati osservati 12.3 errori nel gruppo 1, 10.7 errori nel gruppo 2 (p=0.401). DISCUSSIONE: la tecnica OCHRA è risultata fattibile ed affidabile. Il trattamento chirurgico dopo 12 settimane dalla radiochemioterapia è risultato sicuro ed affidabile. I risultati di questo studio suggeriscono che l’intervallo di tempo dopo il trattamento radiochemioterapico potrebbe non influenzare la perfomance della tecnica chirurgica. E’ tuttavia necessario reclutare un maggior numero di. Da un lato l’intervallo intercorso tra il trattamento radiochemioterapico e la chirurgia potrebbe favorire la crescita tumorale, dall’altro potrebbe massimizzare l’efficacia del trattamento radiochemioterapico, incrementando la morte cellulare. E’ necessaria cautela nell’interpretare tali risultati in studi che presentano campioni troppi esigui. CONSIDERAZIONI PERSONALI: numerosi studi dimostrano ad oggi come l’intervallo di tempo di 12 settimane tra il trattamento radiochemioterapico e la chirurgia abbia permesso una riduzione dell’edema e dell’infiammazione perilesionale, favorendo così una migliore performance chirurgica. A mio avviso è tuttavia necessario avere un campione più ampio ma nello stesso tempo considerando Centri dedicati al cancro del retto in cui chirurgia, stadiazione radiologica e valutazione patologica siano standardizzate e costantemente monitorizzate. Solo così si potranno estrapolare conclusioni che minimizzino bias di selezione e conduzione.
Antonio Martino - Stefano Scabini
Chirurgia Generale ad Indirizzo Oncologico - IRCCS San Martino IST
Br J Surg. 2016 Oct;103(11):1428-37. doi: 10.1002/bjs.10236. Epub 2016 Aug 18.
Systematic review of e-learning for surgical training.
INTRODUZIONE: E-Learning è un nuovo approccio all'apprendimento; l'allievo, utilizzando una piattaforma informatica soprattutto attraverso internet, decide cosa, dove e quando apprendere la materia di suo interesse. Ma E-Learning, nel training chirurgico, è davvero efficiente nell'apprendimento? Questo studio valuta la letteratura a riguardo e descrive l'attualità su questo tema. METODO: È stata eseguita una review sistematica della letteratura fino ad agosto 2015 includendo studi che comparano E-learning con le altre metodiche di apprendimento. RISULTATI: Sono stati analizzati 4704 articoli e di questi ne sono stati selezionati 87. DISCUSSIONE: La maggior parte delle piattaforme di E-learning sono strumenti didattici efficaci nello sviluppo di un'ampia gamma di competenze chirurgiche. Sono limitate le evidenze della superiorità di E-learning rispetto ad altri interventi educativi e programmi di studio: solo due studi hanno dimostrato l'utilità di nozioni apprese tramite E-learning nella pratica clinica, ma non vi è alcuna prova che questo migliori l'outcome del paziente. L'E-learning non può essere sostitutivo, bensì complementare ad altri metodi di formazione, in quanto è molto efficace nell'insegnamento di processi cognitivi o conoscitivi necessari alle attività psicomotorie, ma non lo è altrettanto nell'insegnamento di processi pratici. CONSIDERAZIONI PERSONALI: L'E-learning è un concetto giovane, conosco poco i suoi limiti ed i suoi punti di forza. Negli ultimi vent'anni la tecnologia di internet ha stravolto il mondo creandone uno parallelo altrettanto sconfinato. Io non so se in futuro l'e-learning fallirà o diventerà il metodo più usato nell'apprendimento, so solo che questa tecnologia è in rapida evoluzione e quindi vorrei sapere da subito se affidargli parte della mia cultura. Penso che una lettura la meriti anche per valutare un collega che è formato sulla base di corsi E-learning e per capire a che mezzo affidare l'insegnamento delle nozioni nel prossimo futuro.
Domenico Soriero - Stefano Scabini
Chirurgia Generale ad Indirizzo Oncologico IRCCS San Martino IST
Br J Surg. 2016 Oct;103(11):1447-52. doi: 10.1002/bjs.10277.
Randomized clinical trial of chewing gum after laparoscopic colorectal resection.
INTRODUZIONE: si tratta di uno studio recentemente pubblicato online sulla Wiley Online Library (www.bjs.co.uk). Lobiettivo di questo trial clinico è quello di verificare lutilità della gomma da masticare nel ridurre lileo paralitico post operatorio nei pazienti sottoposti ad interventi laparoscopici di resezione del colonretto.
METODI: sono stati inclusi nel protocollo i pazienti con nuova diagnosi di cancro
del colon-retto candidati ad intervento di resezione laparoscopica. I criteri di esclusione sono stati: impossibilità a fornire un valido consenso, conversione ad intervento laparotomico, contemporanea resezione di altri organi, complicanze settiche post-operatorie o necessità di reintervento. Sono stati cerati 2 distinti bracci di randomizzazione generati con un programma apposito. I due bracci differivano solo per la gestione post-operatoria: i pazienti nel gruppo di controllo seguivano un protocollo standard (vedi tabella 1); i pazienti nel gruppo di studio (gruppo chewing gum) ricevevano, in aggiunta, 1 chewing gum senza zucchero tre volte al giorno, dalla prima giornata post operatoria sino al momento della dimissione (dovendolo masticare ogni volta per almeno 30 minuti).

Gli aspetti valutati nei due gruppi sono stati: il tempo di canalizzazione ai gas e il tempo di canalizzazione alle feci, la durata dellospedalizzazione e la comparsa dellappetito.
Complessivamente i pazienti arruolati sono stati 86: 43 allocati nel gruppo di studio e altri 43 in quello di controllo.
RISULTATI: il tempo di canalizzazione ai gas è significativamente più breve nel gruppo del chewing gum (18 vs 34 ore; p=0,007). Anche la canalizzazione alle feci avviene più rapidamente nel gruppo di studio rispetto al gruppo di controllo (19 vs 44 ore; p=0,001). I pazienti che masticano chewing gum avvertono prima il senso di fame (16 vs 25 ore; p=0,001). La durata dellospedalizzazione però non è diversa nei due gruppi. Questi vantaggi sono più evidenti nei pazienti senza stomia.
CONSIDERAZIONI PERSONALI:
E uno studio particolare che si dedica ad una piccola parte delle problematiche postoperatorie legate alla chirurgia colo-rettale ed in particolare alla ripresa della canalizzazione intestinale. Nonostante lo studio dimostri che non cè differenza statisticamente significativa nei tempi di degenza ospedaliera fra i due bracci dello studio, dimostra come lo stimolo alla ripresa della funzionalità intestinale data dal consumo di chewing gum porti ad una più precoce canalizzazione ed ad una più precoce comparsa dello stimolo della fame.
Credo che possa essere una metodica semplice, economica e riproducibile che non interferisce sulla normale good practice chirurgica ma che può alleviare il senso di nausea e vomito post-operatorio applicabile non sono ai pazienti sottoposti ad interventi laparoscopici ma anche con tecnica open.
Gianmaria Casoni Pattacini - Stefano Scabini Chirurgia Generale ad Indirizzo Oncologico - IRCCS San Martino IST
Inerita il 27/10/2016 ( scarica pdf. )